(Firenze 1513 - Monselice, Padova, 1594) poligrafo italiano. Di umili origini, entrò giovanissimo nell’ordine dei serviti, ma ne uscì (o ne fu cacciato) nel 1540. Da allora peregrinò per varie città (Genova, Milano, Piacenza, Venezia, Firenze) alla ricerca di un protettore. Fu prima amico e poi avversario dell’Aretino; trascorse gli ultimi anni nella quiete di Monselice. Scrisse opere di genere diverso, accomunate da una concezione «scapigliata» della vita (ne è documento la raccolta delle Lettere, 1544 e successive edizioni) e da uno stile estremamente composito che mescola pedanteria e bizzarria, calco ed estro inventivo. Fra le tante si ricordano: Dialoghi del disegno (1549); Libraria prima (1550) e Libraria seconda (1551), due cataloghi ragionati di opere a stampa e di manoscritti (talvolta inventati); La zucca (1551-52), una raccolta di «cicalamenti, baje, chiacchiere, dicerie»; Pistolotti amorosi (1552), un prontuario di lettere d’amore per gentildonne; Dialoghi della musica (1554); Lo stufaiolo o l’avaro (1559), commedia in prosa in 5 atti. Ma, per giudizio concorde della critica, capolavoro di D. è l’opera in 4 parti I marmi (1555), dove l’autore finge di essere trasformato in uccello e di poter così ascoltare le chiacchiere che si scambiano dotti e popolani fiorentini sugli scalini («marmi») di Santa Maria del Fiore: le figure sono vivacemente tratteggiate e i loro «ragionamenti» toccano i più svariati argomenti, dall’astronomia alla medicina, dalle arti magiche alla letteratura, dalla morale alla pittura ecc. Subito dopo, in ordine d’importanza, vengono I mondi (1552-53), digressioni di carattere morale e politico, dalle quali emerge una proposta di società egualitaria che si collega al filone utopistico rinascimentale.